Il borgo di Montegiovi (m.458 s.l.m.) si inserisce al centro di un paesaggio collinare che va dai 300 ai 650 metri di altitudine, su di una piccola protuberanza rocciosa poco rialzata rispetto al torrentello (l’ochena, o “fosso ocano”) che incide la piccola valle interna tra le due colline sulle cui cime fino ad età tardo medievale si ergevano due manieri, l’uno dirimpetto al’altro, il Castellonchio ed il Castellaccio. Destino volle che dei due castelli padronali non ne rimanesse intatto neanche uno, ma di entrambi si ritrovano le tracce, e probabilmente scavando si troverebbe molto di più. In particolare il Castellaccio è legato ad una leggenda che vorrebbe conservato al suo interno un certo tesoro o vello d’oro, e fino a pochi anni fa non mancavano gli avventurieri che provavano ad inoltrarsi nelle sue viscere, ma finora nessuno ha inteso investire in uno scavo sistematico per riportare alla luce le rovine.
Il nostro borgo è attualmente costituito da 5 blocchi abitativi: la chiesa con annessa canonica, tre casolari in pietra, una casa da fabbricazione più recente (anni 50).
La chiesa è tutt’ora aperta ed utilizzata, così come la canonica, che ospita anche attività di ritrovo; le origini dell’agglomerato sono da ricondursi all’epoca etrusca, il nome è sicuramente dell’età romana (“mons jovi”, “monte sacro a Giove”), ma le tracce riconoscibili ad oggi ci parlano ancora di un passato medievale (alcuni elementi in pietra ben individuabili sia nella chiesa che nel fabbricato colonico adiacente, la configurazione del borgo con lo stretto vicolo), ma soprattutto di un passato recente, di cui ci sono ancora testimoni viventi, in cui l’attività rurale era ancora predominante (fino agli anni ’60 del secolo scorso).
Si coltivava soprattutto tabacco, viti, olivi, castagne, grano, ma anche numerosi alberi da frutto: i campi che riempiono la piccola valle a nord del borgo erano denominati “il giardino”, tanto erano ben tenuti con i loro morbidi terrazzamenti, il torrentello che scorreva nel mezzo, e la varietà di frutti che vi crescevano.
Il borgo viveva praticamente in totale autonomia, ogni casa era fornita di stalletti per ogni sorta di animale da cortile, polli, conigli, nane (anatre), oci (oche in aretino), piccioni, maiali, ma anche qualche mucca e qualche cavallo, di un forno a legna di dimensioni medio-grandi, poiché chi lo accendeva consentiva l’infornata anche ai vicini di casa, e si cuoceva il pane tutte le settimane.
Le massaie pensavano alla pasta fatta in casa, alla polenta, di mais o di castagne, al bucato nella fonte con le vasche posta ancora oggi al centro del borgo, ai piccoli da allevare, ma aiutavano anche nei campi, dove la vita era scandita sì dal freddo e dal caldo delle stagioni, ma anche dalle feste per la raccolta e la battitura del grano, per la vendemmia, per la spremitura delle olive, per la raccolta delle castagne.
Queste attività in cui culminava la stagione produttiva erano svolte in comunione, si partiva da una proprietà e si affrontavano tutti i campi uno alla volta: evidentemente erano attività che richiedevano il lavoro di gruppo, di uomini e di donne, e quindi si era costretti ad aiutarsi a vicenda.
Questo vale non solo per il piccolo borgo di Montegiovi, ma anche per quelli limitrofi dei Renacci, della Cappella, della Fonte, di S.Angelo…
I contatti con la città o con il comune, che ha sede a Subbiano (a 5 km) erano chiaramente molto più sporadici, erano gli artigiani (fabbri, falegnami, muratori,..) che giravano per le campagne ed offrivano l loro manodopera specializzata a domicilio. Tuttavia vi era il momento del mercato, o della fiera, in cui tutti scendevano a valle per commerciare i propri prodotti, che il comune di Subbiano ripete ancora oggi, con la fiera del bestiame di fine estate, la festa dell’uva con i carri allegorici, il mercatino del tempo che fu di settembre, il mercato dei prodotti nostrali di novembre.
Montegiovi aveva la sua bottega, nella casa dirimpetto alla nostra, per gli alimentari e tutti i generi di prima necessità, nella stanza accanto alla quale veniva fatta la scuola ai bambini, ovviamente in classi miste, scuola che poi fu spostata nell’edificio di nuova edificazione, dove abitava l’insegnante: d’altronde il borgo vantava da solo una cinquantina di abitanti, e in più vi erano i casolari sparsi nei dintorni, le famiglie erano numerose e con molti figli…
Nella nostra casa si riconoscono appunto il forno, il camino, l’aia per gli animali e per la battitura, il fienile e l’essiccatoio, la vasca per macerare i resti di cibo e di castagne da dare ai maiali, le porte aperte e poi richiuse nelle murature per il pollaio e gli stalletti, la stalla grande che aveva la mangiatoia, le parti murarie più antiche e quelle aggiunte via via nel tempo….
Di questo modo di vivere ci piace riproporre il senso di semplicità e naturalezza, di ospitalità, e la capacità di cavarsela da soli, al massimo con l’aiuto dei vicini di casa, in particolare delle due brave massaie che ancora ci vivono, e che spesso ci propinano ottimi piatti della tradizione. Per questo non solo mettiamo a disposizione forno, stufa, barbecue, salone, ecc., ma invitiamo a condividere le attività di una volta, come raccogliere le fascine, accendere il fuoco, preparare il pane la pizza, gli arrosti, o la sfoglia per la pasta, cuocere la polenta sul fuoco, raccogliere la frutta e gli ortaggi e preparare le marmellate e le conserve, vendemmiare e raccogliere le olive e soprattutto le castagne, prodotto tipico della collina.